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PAPA IN CROAZIA: UN MINUTO DI DOLORE PER LE MIGLIAIA DI VITTIME DEGLI USTASCIA CATTOLICI
DOC-1385. ROMA-ADISTA. Una visita lampo, quella compiuta dal papa il 22 giugno a Banja Luka, la capitale della Republika Srpska, nella Bosnia Erzegovina, una regione a maggioranza serba. Per il pontefice l’obiettivo era quello di lanciare un messaggio di riconciliazione ai tre diversi gruppi presenti nella regione: serbi, croati, musulmani. Ma anche per riaffermare il diritto dei profughi di ritornare nelle proprie case visto che, proprio nella Republika Srpska, come ha denunciato di fronte al papa mons. Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, i profughi cattolici fuggiti durante la guerra hanno molte difficoltà a fare ritorno nelle proprie case. Prima della guerra erano 130 mila, ora sono meno di 40 mila. “Finora – ha detto Komarica – nella mia diocesi sono riusciti a rientrare solo il 3 per cento dei fedeli esuli”. Per il vescovo, le cui parole sono state più volte interrotte dall’applauso degli oltre 20 mila fedeli, pesanti responsabilità gravano sull’Unione Europea: “Siamo tristi ed addolorati”, ha detto, per il fatto che l’Europa “tuttora non riconosce noi uomini e popoli di pari diritti con gli altri suoi abitanti”. Nell’intera Bosnia Erzegovina i cattolici rappresentano solo l’11,3 per cento della popolazione. La paura è che la presenza dei cattolici nel Paese possa divenire poco più che testimoniale. Addirittura, secondo il vescovo, c’è il pericolo di “un totale annientamento per la volontà ‘permissiva’ dei potenti di questo mondo”.
Sono d’altra parte assai profonde le ferite che dividono i cattolici dalla maggioranza serba del Paese: significativo il fatto che l’arrivo del papa sia stato duramente contestato dalla popolazione, che ha riempito i muri con manifesti che dicevano “papa, vattene a casa”, o ha dipinto, sopra i manifesti che annunciavano l’imminente visita, la “U” simbolo degli ustascia, la milizia del regime nazi-fascista instaurato in Croazia dal 1941 al 1945 da Ante Pavelic. A Giovanni Paolo II viene infatti rimproverata la sua smaccata simpatia per i croati. Fu infatti lui, nel corso della sua seconda visita in Croazia, nel 1998, a beatificare il cardinale Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria durante la Seconda guerra mondiale, processato e condannato nel 1946 dal governo comunista di Tito per la sua complicità con i più atroci misfatti del dittatore Pavelic, ma frettolosamente riabilitato dalla Chiesa cattolica (v. Adista n. 74/98). Fu sempre il Vaticano, nel 1992, l’unico Stato, insieme alla Germania, a riconoscere l’indipendenza della Croazia, appena staccatasi dalla Federazione jugoslava.
E moltissimi uomini di Chiesa (specialmente preti e religiosi francescani) furono protagonisti, durante il periodo degli ustascia, di crimini orribili contro i serbi ortodossi. La collina di Petricevac, dove il papa ha celebrato la messa, è il luogo dove sorgeva il monastero in cui viveva il francescano padre Miroslav Filipovoc Majstorovic, denominato “frate Satana”, appellativo che si era guadagnato guidando il “Campo della morte”, un campo di concentramento dove sono state uccise migliaia di persone tra serbi, zingari ed ebrei durante la Seconda guerra mondiale. All’uccisione di molte di esse Majstorovic provvedeva personalmente. Il Vaticano si limitò a sospenderlo a divinis. Alla fine della guerra, fu processato e giustiziato dalla Jugoslavia di Tito. Il suo monastero fu raso al suolo dai serbi nel ‘95 (ma era già stato distrutto una prima volta nel 1945). Consapevole del forte rancore nei confronti dei cattolici, durante la messa, Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per le colpe commesse dalla Chiesa: “Da questa città – ha detto -, segnata nel corso della storia da tanta sofferenza e tanto sangue, imploro il Signore onnipotente affinché abbia misericordia per le colpe commesse contro l’uomo, la sua dignità e la sua libertà anche da figli della Chiesa cattolica e infonda a tutti il desiderio del reciproco perdono. Soltanto in un clima di vera riconciliazione, la memoria di tante vittime innocenti e il loro sacrificio non saranno vani, ci incoraggeranno a costruire rapporti nuovi di fraternità e di comprensione”.
Il papa, prima di ripartire per Roma, ha fatto visita privata al Consiglio interreligioso della Bosnia-Erzegovina, di cui fanno parte le autorità religiose cattoliche, ortodosse, islamiche ed ebraiche. Presenti l’arcivescovo di Sarajevo, cardinale Vinko Puljic, il capo della comunità islamica Mustafa Ceric e il rappresentante degli ebrei Jacob Finci. Per la Chiesa serbo-ortodossa bosniaca c’era il vescovo Jefrem: sostituiva il maggiore rappresentante della Chiesa serbo-ortodossa di Bosnia, il metropolita Nikolaj, anche lui membro del Consiglio. Il Patriarca della Chiesa Ortodossa di Serbia, Pavle, cui il papa in apertura dell’omelia che ha tenuto durante la messa, aveva inviato un messaggio di saluto, non ha ritenuto opportuna la sua presenza, a dimostrazione del permanere delle tensioni fra la Chiesa ortodossa serba e la Santa Sede.
Come primo, immediato risultato della sua visita, il pontefice ha comunque incassato l’assicurazione da parte dei tre componenti della presidenza collegiale della Bosnia Erzegovina, Bosislav Paravac, Dragan Covic e Sulejman Tihic, che verranno restituiti a cattolici, ortodossi, musulmani ed ebrei i beni confiscati durante il periodo comunista.
Sulla visita del papa in Bosnia abbiamo chiesto una valutazione allo storico Marco Aurelio Rivelli. Studioso della questione jugoslava e dei rapporti tra Vaticano e regimi nazi-fascisti, Rivelli, nel 1999, ha pubblicato per la Kaos Edizioni, il libro “L’arcivescovo del genocidio. Monsignor Stepinac, il Vaticano e la dittatura ustascia in Croazia, 1941-1945” (v. Adista nn. 28/99 e 54/02). Pubblichiamo di seguito il suo contributo.
“HO UN ELENCO DI 138 PRETI E FRATI MASSACRATORI USTASCIA” – di Marco Aurelio Rivelli
Giovanni Paolo II si è recato in Bosnia e ha chiesto perdono per le colpe commesse dai figli della Chiesa.
Wojtyla ha parlato a Banja Luka sulla spianata del convento di Petricevac, ove vi aveva svolto la sua missione il frate francescano Miroslav Filipovic Maistorovic, poi soprannominato “Fra’ Satana”, assassino della peggiore specie, comandante, per un certo periodo, del campo di sterminio di Jasenovac, dove, con le sue stesse mani, aveva trucidato oltre 40mila prigionieri. Fra le sue prodezze, il 7 febbraio 1942, l’uccisione nella zona di Banja Luka di 2750 serbi fra cui 250 bambini, in sole dieci ore (se ne vantò durante il processo che subì in Jugoslavia dopo la guerra). Secondo la stampa cattolica, questo frate sarebbe stato sì un assassino, ma scomunicato e cacciato via anzitempo. La verità è che solo alla fine del 1943 la Chiesa ne avrebbe disposto la semplice “sospensione a divinis”.
Nella cattolicissima Croazia ustascia oltre un milione di Serbi, uomini, donne e bambini, furono massacrati dal 1941 al 1945, nei modi più crudeli. Unica loro colpa quella di essere ortodossi, cioè contrari alla Chiesa di Roma.
La maggior parte di questi massacri, oltre che nei campi di sterminio, avvenne nelle strade, nei villaggi, ovunque sotto gli occhi di tutti. Una follia omicida istigata dalla stampa cattolica e dai vescovi tuonanti dai pulpiti all’eccidio. Bande di assassini comandate da preti e da frati. Ai malcapitati prigionieri veniva imposto di abiurare e di convertirsi al cattolicesimo. Conversioni collettive dopo le quali seguiva l’eccidio con i carnefici che gridavano: “Avete salvato l’anima, ma il vostro corpo ci appartiene”.
In quel contesto l’orda ustascia distrusse 292 chiese ortodosse, i cui beni vennero incamerati dalla Chiesa cattolica. Centinaia i religiosi ortodossi uccisi insieme ai cinque vescovi di questa chiesa. Ogni esecuzione un atto di efferata crudeltà. Valga per tutte la descrizione della fine di uno di questi: monsignor Dobrosavljevic, vescovo di Ototac, fu catturato con il figlio. Furono condotti vicino ad un pozzo e il ragazzo fu fatto a pezzi, a colpi di accetta, davanti agli occhi del padre, costretto a guardare. Furono quindi strappati al vescovo i capelli e la barba e, cavatigli gli occhi, venne finito a colpi di scure. Tutto ciò sotto gli occhi di Stepinac, intento a flirtare con il macabro governo ustascia.
Nel corso delle mie ricerche, sui luoghi dei delitti, tutti i testimoni da me intervistati sono stati concordi nel descrivermi le bande degli sterminatori con sempre al comando preti e frati francescani. Di questi indegni uomini di chiesa ho un elenco di 138 nomi nonché molte fotografie, in uno delle quale uno di essi regge per i capelli la testa tagliata ad un serbo. Bande di sacerdoti e vescovi criminali, aiutati dal Vaticano, nel dopoguerra, a fuggire all’estero. Tra questi Ante Pavelic, il capo di tutti questi mostri. Sono stato a Jasenovac dove 600mila veri martiri, uomini, donne e bambini, furono sterminati.
Camminando in quel campo dell’orrore, con le lacrime agli occhi, mentre mi tornavano in mente nomi di infelici già destinati all’oblio, ho pensato immodestamente di avere contribuito a far sì che il loro sacrificio non venisse dimenticato.
La distanza fra Banja Luka e Jasenovac è breve. Wojtyla, il Santo Padre di una Chiesa che molto spesso ha disatteso i dettami di Cristo, avrebbe fatto bene a percorrerla.
da ADISTA del 5.7.2003
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