pubblicato il 23.12.08
Bologna culla del fascismo - Autunno 1920 ·
Bologna culla del fascismo - I. Autunno 1920
21 novembre 2008: giornata "agitata" a Bologna: uno sciopero fortemente partecipato dei lavoratori Atc, il centro città bloccato, l'entrata degli scioperanti Comune, il parapiglia con i vigili e - dulcis in fundo - l'irruzione a Palazzo d'Accursio della polizia contro l' "invasione" degli ospiti (gli scioperanti) non invitati [vedi: Dire, Rdb Cub, il pane e le rose]. Su questo sfondo animato, c'è un particolare che ha attirato la mia attenzione e mi ha condotto a decidermi di rieditare qualche pagina di un bel libro di Luigi Fabbri. In quella calda giornata di novembre in consiglio comunale, dai banchi del centrodestra è partito - per voce di tal Patrizio Gattuso (PdL) - un sonoro "basta coi comunisti!" che ha suscitato la comprensibilissima indignazione ed ira del consigliere di sinistra Valerio Monteventi.
Perché assegno tanta importanza a un enunciato stolido e banale - originale, con i tempi che corrono, come un ennesimo duplicato: monotono, ricorrente e inflazionato? E' che per enunciare provocatoriamente il "suo" banale e stolido slogan nella sala del Consiglio comunale di Bologna, il signor Gattuso ha scelto proprio il giorno sbagliato o, forse, nella logica sua e del suo gruppo, il giorno "giusto".
Sta di fatto che la data del 21 novembre ha, per il consiglio comunale di Bologna, un'importanza storica: 88 anni fa, i fascisti, dopo aver anticipatamente minacciato pubblicamente guerra nel caso in cui la bandiera rossa fosse stata innalzata o esibita in occasione della cerimonia d'insediamento dell'amministrazione socialista uscita dalla vittoria alle elezioni comunali, il 21 novembre 1920 passarono all'atto, aprendo il fuoco contro Palazzo d'Accursio e sulla folla, provocando una prevedibile e premeditata carneficina.
Una storia che, proprio il nel giorno in cui il consigliere Gattuso ha emesso il "suo" basta coi comunisti! (che, come come sappiamo, avendo avuto energici - ma che dico: energumenici! - precursori, rasenta il citazionismo) è stata ricordata dall'ANPI ANPPIA con un incontro pubblico e commemorata con la deposizione di corone: al sacrario dei Caduti Partigiani, alla lapide che ricorda il giovane Anteo Zamboni, trucidato dai fascisti, e alla lapide che - nel cortile di Palazzo d'Accursio, ricorda, appunto, l'assalto fascista del 21 novembre e le vittime che ha provocato.
Di qui, al punto d'intersezione tra la storia e l'attualità, la mia scelta di riproporre alcune pagine del lucido e oggi, credo, più che mai illuminante libro di Luigi Fabbri.
Ma fino ad un certo momento il fascismo sembrò relativamente indipendente finché i fascisti eran pochi e i socialisti eran potenti ed in auge. Aveva il suo nucleo centrale più forte a Milano con ramificazioni un po’ dovunque, ma non era preponderante in alcun luogo, – e tanto meno lo era a Bologna; dove invece tutto ad un tratto divenne forte, tanto che proprio da qui, come forza politica coercitiva e violenta cominciò ad estendersi in tutta Italia. Ebbe ragione non so più qual fascista a scrivere, in una polemica, che se è vero che il fascismo è nato a Milano la sua culla è stata Bologna.
* * *
A Bologna il fascismo è diventato forte prima che altrove; sia perché il caso e gli errori dei socialisti più li aiutarono, sia perché i fascisti bolognesi furono primi; malgrado il linguaggio sbarazzino e pseudo-sovversivo, del loro giornale, a stringere rapporti di collaborazione ed aiuto con quella forza conservatrice ch’è la polizia, mettendo da parte in pratica ogni fisima d’opposizione politica.
Nei primi mesi, dall’ottobre in poi, il fascismo ebbe nella polizia bolognese l’alleata più evidente, anche ufficialmente, godendo della protezione aperta del questore e di quella appena larvata del Prefetto [1]. I commissari di P. S. se n’andavano pel Corso sotto braccio coi capi fascisti, guardie regie e fascisti se n’andavano a spasso insieme,; e in Questura i fascisti eran come a casa loro, e questurini e guardie regie stavano alla sede del Fascio come in un loro corpo di guardia. Mi è stato assicurato che anche pel rifornimento e trasporto delle sua armi, il fascio più d’una volta s’è servito dei camions della questura e militari.
Dell’autorità militare vera e propria non parlo. Essa è assai più guardinga; ma è noto che quasi tutti gli ufficiali sono fascisti e che lo Stato Maggiore dell’esercito non è estraneo al fascismo.
[…]
Ma, per tornare a Bologna come culla del fascismo, dirò che tutti questi coefficienti non sarebbero valsi a far crollare le posizioni socialiste ed a formare la potenza fascista senza alcune circostanze fortuite e soprattutto senza certi errori più gravi dei socialisti. Le scaramucce nella piazza di Bologna del 20 settembre 1920 e lo stesso conflitto sanguinoso del 14 ottobre, quando una folla andò a fare una dimostrazione alla carceri per solidarietà con le vittime politiche, vicino alla caserma delle guardie regie [2] non erano riusciti a scuotere la preponderante forza socialista. Lo sbandamento di questa cominciò la notte del 4 novembre, in cui per pochi fascisti fattisi all’uscio e nell’atrio della Camera Confederale del lavoro in atto aggressivo e minaccioso di giovani armati, l’allora segretario on. Bucco, che pure era circondati da un certo numero non trovò di meglio che telefonare per soccorso alla questura filofascista! La polizia venne, ed in numero, ma per arrestare i socialisti e far fare una figura ancora più ridicola al deputato Bucco… La fortezza era ormai smantellata: i fascisti vi avevano in certo modo libero ingresso.
Se quella sera i socialisti fossero stati un po’ più prudenti – mi dicono che a mezzanotte circa il portone della Camera del Lavoro era ancora aperto; senza alcuna ragione, quasi per invitare il nemico ad entrare – e nel tempo stesso, se realmente assaliti, si fossero energicamente difesi con la forza che avevano e senza esclusione di colpi, forse la Camera del lavoro di Bologna sarebbe stata invasa allora invece che tre mesi dopo, ma probabilmente sarebbe stata la prima e l’ultima in Italia. Essa sarebbe stata invasa non dai fascisti ma dalla forza pubblica; la quale, avendo lei presa l’iniziativa, avrebbe tolto al governo la maschera d’una inesistente neutralità, resa impossibile l’indegna commedia recitata poi, tolta al fascismo la direzione delle operazioni antisocialiste. Se reazione fosse venuta, avrebbe preso un carattere statale, e la lotta avrebbe conservato il suo carattere tradizionale di conflitto fra sudditi e governo, senza deviare verso la insensata, feroce ed inutile guerriglia di fazioni che seguì.
Ma inutile far delle ipotesi su dei se retrospettivi. Il fatto sta, che quell’episodio penoso e ridicolo insieme fece capire alle autorità politiche ed ai fascisti che tutta la vantata preparazione rivoluzionaria, di cui Bucco ed atri menavan vanto, era un bluff, e che l’esercito socialista, già in ritirata sul terreno economico e politico, non solo aveva smessa l’offensiva ma non sapeva neppure profittare della forza del numero, di cui disponeva indiscutibilmente, per difendersi con la propria azione diretta. Se si fosse subito resistito con l’energia e la violenza necessarie, e la necessaria concordia, ai primi assalti fascisti, il fascismo sarebbe morto sul nascere. Invece, avendo il proletariato preferito riparare dietro la legalità, anche questa debole trincea fu in più punti demolita dal nemico, giacché – visto che i socialisti risultavano i più deboli – polizia e forza pubblica non ebbero più alcun scrupolo a palesarsi alla luce del sole alleati del fascismo; e l’offensiva combinata delle forze illegali e legali, cui si aggiungeva poco più tardi anche la magistratura, incominciò.
Né valse ad arrestarla l’esito delle elezioni amministrative della fine d’ottobre e del principio di novembre 1920, favorevoli i socialisti che vi guadagnarono circa 3000 comuni. Anzi questo fu una spinta di più alla classi dirigenti per incoraggiare il fascismo summa via dell’illegalità. Capitalismo e governanti – dei governanti, non questo o quel ministro personalmente, certo l’alta burocrazia, i prefetti, i questori, ecc. – prima riluttanti, capirono che il fascismo era una buona arma e gli assicurarono subito tutti i propri aiuti, in danaro e armi, chiudendo gli occhi sugli atti illegali, e dov’era necessario assicurandogli le spalle con l’intervento della forza armate che, col pretesto di rimetter l’ordine, correva a dar mano ai fascisti dove questi invece di darle cominciavano a prenderle.
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NOTE:
[*] Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva (riflessioni sul fascismo), Collana "V. Vallera", Pistoia, 1975 [prima edizione 1922 - Editore Licinio Cappelli],
[1] Tale cooperazione dura tutt'ora un po' dappertutto , ma viene alcun poco dissimulata per ragioni di governo. Alla Vecchia Camera del lavoro di Bologna le guardie regie mandate a proteggerla, e ricoverate in un salone della stessa in una notte di pioggia scrivevano nella scoers primavera sui muri, fra tante minacce contro i socialisti e gli anarchici: "Presto il Fascio e la Regia bruceranno anche questa Camera".
[2] Si è parlato a tal proposito, e le guardie regie vi credettero sul serio, di un vero e proprio assalto popolare e rivoluzionario alla Caserma. In processo questa diceria non fu confermata da alcuna prova; ed infatti nessuna intenzione del genere aveva la folla. Il conflitto avvenne casualmente nei dintorni; e chi si è recato da quelle parti una volta sola capisce quanto impossibile e pazzesco sarebbe stato un proposito simile di assalto, oltre che inutile e sproporzionato ad ogni scopo.
http://incidenze.blogspot.com/2008/11/bologna-culla-del-fascismo-i-autunno.html
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Bologna culla del fascismo - II. 21 novembre 1920
21 novembre 1920:
l'assalto a Palazzo d'Accursio
da: Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva
I fatti del 21 novembre a Bologna precipitarono questo processo di reazione.
Che qualcosa di grave si preparasse lo si sentiva nell’aria. Già durante i comizi elettorali si capiva che l’intransigenza formale ed elettorale dei socialisti a tendenza estremista avrebbe vinto, ma inutilmente. Il programma annunciato a Bologna era stravagante e impossibile, dato l’ambiente e l’atmosfera già mutati in tutta Italia; era un vero castello sulla sabbia. Inoltre la borghesia bolognese, non più timorosa dei socialisti e degli operai, non credeva più. Da più d’un mese non si facevano scioperi, e qualcuno tentato era apparso stentato e senza effetto. Durante la campagna elettorale un oratore radicale (poi divenuto fascista) mi assicurano che abbia in un comizio senza ambagi dichiarato, che se i bolscevichi avessero conquistato il comune, non si sarebbe permesso alla loro amministrazione di funzionare.
Dopo l’esito delle elezioni, che avevan dato una strabocchevole maggioranza ai socialisti estremi, questi erano assai preoccupati per la cerimonia dell’insediamento. Rinunciarvi, rinunciare all’esposizione della loro rossa bandiera, al loro comizio di vittoria oggi sembrerebbe facile; allora sarebbe parsa vigliaccheria, e sarebbe stata agli occhi di tutti la prima rinuncia al pomposo programma nel cui nome s’era vinto. Ma proprio questo volevano i fascisti: cacciare dalle piazze la folla operaia, far abbassare in segno di resa la bandiera rossa. Come uscirne?
Alcuni socialisti, che allora tenevano il mestolo in mano, scesero a indecorosi patteggiamento con la questura, e forse promisero più di ciò che i loro seguaci avrebbero mantenuto; ma parve alla vigilia del 21 novembre, giorno convenuto per l’insediamento, che le cose potessero passar lisce, quando fu noto in questura e affisso alle cantonate un manifestino a macchina, in cui i fascisti annunciavano battaglia per l’indomani, avvertendo le donne e i ragazzi di star lontani dal centro e dalle vie principali. I socialisti ormai non potevan più ritirarsi decentemente; è naturale che i più bollenti (e furon purtroppo anche i più scriteriati, stando almeno ai risultati) pensassero ad improvvisare una qualche difesa contro gli annunciati ed eventuali assalti. Ormai solo un miracolo poteva evitare la tragedia.
Il miracolo non avvenne; al contrario! L’indomani, dopo l’inizio pacifico della cerimonia nella sala comunale, appena apparvero dal balcone sulla piazza il sindaco allora nominato e delle bandiere rosse, furono in loro direzione sparate le prime revolverate. La tragedia, immediatamente precipitò. Quanti avevano armi, compreso la forza pubblica, cominciarono a sparare all’impazzata: furono gettate delle bombe, e nell’interno del Comune, nella sala tre le pallottole che entravan dalle finestre infrangendo vetri e quadri, gli urli, la confusione più spaventosa, vi furon quelli che perduta del tutto la testa (la premeditazione di ciò è inverosimile, e sarebbe solo ammissibile se si trattasse di un atto di vendetta privata e personale) aggiunse tragedia a tragedia, sparando contro i banchi della minoranza e colpendo chi per le sue condizioni fisiche non poteva come gli altri muoversi, ripararsi, gettarsi a terra, difendersi. Chiunque abbia sparato in quel momento contro l’avv. Giordani, non colpiva soltanto a morte un uomo, gettando nella desolazione una famiglia: egli assestava al partito socialista una mazzata irreparabile, crudele e disastrosa.
Non mi fermo questo fatto […] Certo, prescindendo dalle origini, gli avvenimenti non potevan svolgersi in modo peggiore pei socialisti; anche la cieca fatalità si mise contro di loro alleata ai fascisti. Ma, indipendentemente dalle singole responsabilità per gli episodi staccati, di secondaria importanza, chi con spirito imparziale voglia giudicare della responsabilità complessiva e generale di quanto avvenne il 21 novembre, non può non attribuirla tutta al fascismo ed all’autorità politica, sua complice necessaria. Se infatti il fascismo non fosse quel giorno intervenuto a turbare a mano armata la legittima manifestazione socialista, facendo precedere tale intervento da minacce provocatrici, nulla di tragico sarebbe avvenuto.
Ma in politica ha ragione chi vince, anche se ha torto; e la peggio tocca a chi fugge. I socialisti non ebbero la forza di difendersi, di aggrapparsi alle loro indiscutibili ragioni per resistere; sotto il cumulo di tante circostanze avverse si persero d’animo. E ormai non era più il caso di farne loro una colpa; la colpa, se mai, era di molto anteriore. Sta di fato che il 21 novembre fu una vittoria fascista; la responsabilità dei fascisti negli avvenimenti non diminuisce punto la loro vittoria, anzi l’accresce. Aver torto e vincere è, in sostanza, sul terreno realistico, un vincere due volte. Fu ciò, forse, che dette al pubblico l’impressione maggiore della forza fascista e della debolezza socialista.
Allora avvenne ciò ch’era naturale, e avviene sempre in casi consimili. Il fascismo, nucleo trascurabile prima di settembre, accresciuto alquanto dopo i primi indebolimenti del socialismo, all’indomani del 21 novembre diventò gigante. Le sue file crebbero di gregari in modo indescrivibile. Tutti i vigliacchi, che fino alla vigilia facevan la corte ai socialisti, che brigavano per entrar tra essi, ne divennero all’improvviso avversari e simpatizzarono con i fasci [1]. Quelli stessi che prima invocavano la collaborazione socialista, che rimproveravano ai socialisti di non osare abbastanza, di non voler andare al potere, ecc. gridarono alla «liberazione dalla tirannide rossa». Specialmente certe categorie della schiena a cerniera, d’impiegati, di giornalisti, piccoli professionisti, fecero il cinico e sfacciato voltafaccia.
Naturalmente si destarono con ciò tutti i rancori personali vecchi e nuovi, le rivalità personali e bottegaie, le invidie. Inoltre tutti gli interessi lesi da una lunga amministrazione comunale, che può contentar molti, ma non tutti, si risentirono. Le manchevolezze, le ingiustizie, le partigianerie dell’amministrazione socialista, le prepotenze più o meno larvate, inseparabili da ogni esercizio di potere, partorirono il loro effetti, accrescendo l’onda antisocialista. La lotta contro un partito si mutò in caccia agli uomini, per demolirne la posizione e prenderne il posto nelle cariche pubbliche, nel foro, nelle amministrazioni ospitaliere, nell’insegnamento. Ciò ormai andava come un torrente per la sua via, oltre le stesse speranze del fascismo organizzato.
La sconfitta del socialismo, a Bologna ove questo s’identifica quasi del tutto col movimento operaio, fu una sconfitta della classe lavoratrice; ed ebbe una importanza nazionale, appunto perché avvenuta nel cuor dell’Emilia, ove il proletariato è meglio e più fortemente organizzato nelle città e più ancora nelle campagne. Ed appena il moto di reazione antiproletaria si diffuse in provincia, abbattendosi su Ferrara, Modena, Reggio Emilia, ecc. l’esempio fu seguito altrove – specie in Toscana, nel Veneto e nelle Puglie – e la sconfitta socialista ed operaia fu realmente non più emiliana, ma italiana.
* * *
Il fascismo, dicevo, specialmente dopo i fatti di Bologna sopra accennati vide nel giro di pochi giorni enormemente accresciute le sue file. Passarono a lui parecchi che avevan fino allora mantenuto un certo riserbo, vi passò all’improvviso qualche organizzatore operaio; e vi passaron anche dei professionisti, specie avvocati, che in passato amoreggiavano coi socialisti, ma intuivano la possibilità d’una più sollecita fortuna politica col fascismo.
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