pubblicato il 4.02.20
Mondovi', Torino, Bologna Scritte antisemite e intimidazioni sulle case di anziani ebrei e partigiani ·
Scritta antisemita sulla porta di casa di una partigiana.
Come nella Germania nazista. È accaduto a Mondovì, dove viveva Lidia Rolfi deportata a Ravensbruck e morta nel 1996
La scritta «Juden hier», «qui ci sono ebrei», come accadeva nelle città tedesche durante il nazismo, a Mondovì
24.1.2020
La «casa di un ebreo» che non è tale, ha una piccola cucina in cui dalla stufa a legna proviene un lieve tepore. Soffitto a cassettoni tenuto in piedi da un trave di quercia secolare, muri spessi e un grosso tavolo intorno al quale si è seduta la storia.
Si entra attraverso una piccola porta, si gira a sinistra ed è come fare un passo in un sacrario: «su quelle due poltrone di pelle, ormai consumata, mamma si sedeva con Primo Levi».
SONO LE PAROLE di Aldo Rolfi, figlio della staffetta partigiana e deportata politica Lidia Rolfi. Undici mesi di lager, venduta da una compaesano mentre portava rifornimenti ai partigiani della XI divisione Garibaldi, XV brigata Saluzzo. Sulla porta di casa ieri mattina una anonima mano ha tracciato con una bomboletta spray nera una stella di David sovrastata dalla scritta «Juden hier», locuzione che rimanda direttamente al 9 e 10 novembre, quando nella Germania Nazista si scatenò la Reichkristallnacht.
«PRIMO LEVI telefonava a mamma e le chiedeva se poteva venire a respirare l’aria del campo», scandisce il figlio Aldo mentre il piccolo Ludo, un cane pastore australiano da poco adottato, pietisce carezze saltando intorno al tavolo. «Sedevano lì, dove siete voi, e parlavano per ore».
Mondovì: piccola cittadina che gronda benessere, ieri è finita nel ciclone del tempo. Una via centrale ricca, portici in cui si susseguono boutiques e oreficerie, la parte alta del paese raggiungibile con una spettacolare teleferica: tutto scaraventato dentro una oscura storia di antisemitismo che si mischia ad ignoranza e intolleranza.
EPISODI DEL PASSATO che anticipavano l’esplosione? Un paio di svastiche poco distante dal monumento ai caduti: minimo sindacale di questi tempi. Poi il tran tran di queste colline spettacolari ai piedi del Monviso viene bruscamente interrotto da un articolo scritto da Aldo Rolfi, figlio della partigiana deportata Lidia, morta nel 1996 dopo una vita spesa a diffondere fieramente la voce dell’inferno: mezza pagina pubblicata su un giornale locale, in cui vengono ripresi passi della madre che intrecciano con la lugubre attualità politica.
PAROLE NETTE che hanno fatto inferocire qualcuno, offeso da quei ricordi, dalle parole della deportata e staffetta, parole che resistono e diventano sempre più insopportabili. Tanto basta per armare una mano che nella notte tra giovedì e venerdì entra nella piccola via buia e si accosta ad una piccola porta da cui sono passati i giganti della storia.
«ME L’ASPETTAVO, quella scritta. Non è stata una sorpresa: sono tempi così, in cui l’odio viene sparato come formazione permanente dalle televisioni e non solo. Persino la scuola non riesce a resistere a questa spinta», commenta Aldo Rolfi.
Che prosegue: «In fondo siamo di fronte al compimento di quanto scrisse mia mamma nel 1996, in uno dei suoi ultimi articoli riflessione. Diceva: “La violenza non è morta l’otto maggio del 1945, non è morta all’apertura del lager, la violenza continua. E molto spesso certi tipi di violenza, vedi quello che sta avvenendo oggi in Europa e nel mondo, è molto vicina a quella violenza ideologica e fisica del lager. Quindi vuol dire che certe situazione, anche se diverse, possono comunque ripetersi. E allora è bene che la gente sappia come difendersi o ne sappia capire le prime avvisaglie”».
Parole che oggi, dopo quasi trent’anni, sono finite al centro dell’eco mondiale in prossimità dell’anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa nel 1945. Nei bar dove le televisioni al mattino picchiano come fabbri sui tasti della paura e dell’odio, ci si domanda chi possa essere stato: «Una ragazzata, che però è scappata di mano». Nessuno crede che a Mondovì possa esistere un vero rigurgito nazi fascista, ma molti rimandano, come una ridondanza, al clima che si respira ovunque, sopratutto in virtù delle elezioni regionali di domenica prossima. La scritta viene coperta dai carabinieri nel pomeriggio da un grosso cartone marrone che fa pendant con il colore della porta: Juden Hier e la stella di David finiscono sotto una patina di pudore perché la sera, questa la spiegazione ufficiale, è prevista una fiaccolata di solidarietà. «Io l’avrei lasciata», dice Aldo Rolfi
Ma accanto al cartone marrone che paradossalmente fa spiccare ancor più la portata del gesto, qualche mano lascia altre scritte, vergate su post it gialli: «anche io sono ebrea», seguiti dalla firma. Aldo Rolfi li raccoglie e li porta in cucina, poco distante dal tavolo dove i partigiani cantavano canzoni negli del dopo guerra.
https://www.huffingtonpost.it/entry/qui-ebrei-scritta-antisemita-a-casa-del-figlio-di-una-deportata-a-mondovi_it_5e2ad15dc5b67d8874b02a25
Torino, la scritta antisemita resterà lì. Maria Bigliani: «Testimonia i nostri tempi»
La figlia della staffetta partigiana Ines Ghiron chiede che non venga rimossa
Torino, la scritta antisemita resterà lì. Maria Bigliani: «Testimonia i nostri tempi» Maria Bigliani, 65 anni, alla manifestazione organizzata in suo sostegno dopo la comparsa della scritta antisemita (Ansa)
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Maria Bigliani compirà sessantacinque anni domani. È andata in pensione lo scorso ottobre e vive in una storica casa di ringhiera, sulla precollina di Torino. Sul muro del terzo piano, proprio accanto alla sua porta, qualcuno ha vergato con il pennarello nero una terribile minaccia: «Crepa sporca ebrea». Quella scritta è rimasta lì, anche se la sindaca Chiara Appendino si è offerta di farla cancellare, perché Maria vuole che diventi una «testimonianza importante dei tempi che stiamo vivendo». Per questo, dopo qualche incertezza, ha deciso di rivolgersi agli investigatori della Digos e alla Procura, che adesso ha aperto un fascicolo per minacce aggravate dalla finalità di discriminazione religiosa.
La mamma staffetta partigiana
Maria è ebrea, e non ha mai fatto mistero delle sue origini. Spesso è andata incontro a prese in giro e sfottò da parte dei compagni di scuola, ma più avanti anche da parte dei colleghi che per anni hanno lavorato insieme con lei nell’ufficio Ambiente del Comune di Torino. Riconosce: «Ho sempre risposto a tutti per le rime, anche quando si trattava di insulti pesanti. Questa volta, però, è diverso. Mia mamma non avrebbe voluto che rimanessi in silenzio». Sua madre era Ines Ghiron Bigliani, coraggiosa staffetta partigiana, protagonista della Resistenza a Roma e a Milano. Era nata ad Alessandria nel 1917, ma la sua famiglia era originaria di Casale Monferrato. «I miei nonni si trasferirono presto a Parigi, dove mia madre ha vissuto fino al 1934», ricorda adesso Maria Bigliani, pescando appunti e fotografie in una scatola di cartone dove conserva tutti i suoi ricordi. «Erano anni difficili e mi raccontava che, appena tornata in Italia, non capiva per quale motivo si dovesse vergognare di essere ebrea», va avanti. «Poi arrivarono le leggi razziali e la nostra famiglia cercò rifugio a Ginevra, ma lei decise di non scappare. Così prima si nascose da alcuni parenti e poi riuscì a raggiungere Roma. È allora che si iscrisse al Partito d’Azione e che le assegnarono l’incarico di portare documenti riservati verso il Nord Italia. Ha corso tantissimi pericoli perché davvero credeva nella libertà e ha cresciuto i suoi tre figli con queste idee».
La sua vita in un libro
A ottantasette anni Ines Ghiron ha raccolto le sue memorie nel libro Nonna raccontaci la tua vita, che ha dedicato ai suoi nipoti: «Ci ha trasmesso l’orgoglio di essere ebrei — ricorda Maria —. E un altro importante insegnamento è arrivato da Primo Levi, molto amico dei miei genitori, con la sua paura che l’Olocausto e tutte le sofferenze del popolo ebraico fossero dimenticati. Per questo spero che questo gesto orribile, compiuto da persone ignoranti e codarde, non venga scordato in fretta». Rileggendo quelle tre parole scritte proprio sopra il suo campanello, Maria non riesce a non provare una grande rabbia: «Non comprendo come si possano tirare fuori dal passato questi termini. Ho un po’ di paura, ma vorrei davvero che quello che è successo a me servisse d’esempio per i giovani. L’antisemitismo è sempre in agguato, si nasconde anche nelle frasi scherzose e non bisogna mai abbassare l’attenzione». Maria è vedova da cinque anni, ha due figli e dallo scorso ottobre è andata in pensione: «Ho sfruttato Quota 100 e adesso posso concedermi qualche viaggio e dedicarmi alla pittura, la mia grande passione», conclude con un sorriso. «Non sono mai stata in Israele, forse finalmente, dopo tanta attesa, riuscirò ad andarci».
https://www.corriere.it/cronache/20_gennaio_28/torino-scritta-antisemita-restera-li-testimonia-nostri-tempi-4d2e3bbc-4213-11ea-a986-8b98b73aaf06.shtml
Torino. Scrisse «Qui abita un ebreo, Gesù»; vandali in parrocchia
Torino lunedì 3 febbraio 2020
Il parroco fece il cartello contro l'antisemitismo
Porte forzate e sradicate, mobili distrutti, documenti all’aria e circa 500 euro spariti. È accaduto negli uffici della Caritas di La Loggia (Torino) nella notte fra domenica e lunedì. Teatro del raid vandalico non una sede qualsiasi dell’organizzazione che si dedica all’aiuto delle persone e delle famiglie in difficoltà, ma quella della parrocchia di san Giacomo dove, la scorsa settimana è stato affisso alla porta della chiesa un cartello con scritto “Juden hier! Qui abita un ebreo: Gesù": la risposta del parroco, don Ruggero Marini, alle scritte antisemite comparse a Torino e a Mondovì. Certo, per ora le indagini dei carabinieri non hanno scovato collegamenti diretti fra i due episodi: nelle stanze affidate alla Caritas non sono state trovate scritte antisemite oppure minacce. Ma adesso don Ruggero avverte: "Potrebbe esserci un collegamento, le coincidenze sono tante. È nostro compito però non enfatizzare nulla, ma occorre non sottovalutare alcuna ipotesi”.
Anche perché, nei giorni scorsi, un primo cartello (con la stessa scritta) affisso sempre alla porta della chiesa, era stato fatto a pezzi nel corso della notte. “Chi ha strappato il primo cartello – aveva spiegato don Marini -, voleva solo fare una bravata”. Fatto sta che il gesto del parroco aveva comunque attirato l’attenzione: la chiesa è fra l’altro in una posizione strategica, fra le scuole elementari e medie del paese e la sede Caritas è inserita nel complesso parrocchiale, ma vi si può accedere anche dalla strada.
Le scritte antisemite comparse a Mondovì e a Torino avevano anche suscitato una forte presa di posizione dell’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, che aveva sottolineato: “È grave che ci troviamo, nel nostro paese, fra la nostra gente, senza più ragioni forti per ricordarci che non solo siamo tutti fratelli, ma che condividiamo cittadinanza e interessi economici, lingua e territori”. Sempre Nosiglia aveva chiesto di abbandonare “la palude di chi fomenta l’odio e l’intolleranza”.
Mentre Pierluigi Dovis, direttore della Caritas diocesana, ha commentato: “Il furto subito certo non modificherà lo stile di servizio che ha nel dialogo, nell’ascolto, nel superamento di ogni tipo di barriera le sue dimensioni fondanti”.
Oggi don Marini spiega: “Non ho ricevuto minacce esplicite, ma tanta solidarietà da molte persone sia praticanti e sia ‘in cammino’. E da parte mia sto incoraggiando i volontari Caritas perché questo gesto offende e impoverisce coloro che meritano la nostra attenzione e condivisione. Insomma, di fronte alla devastazione noi rinnoveremo e rilanceremo la nostra testimonianza e i nostri servizi di accoglienza, sostegno, inclusione e promozione”.
L’episodio ai danni della Caritas potrebbe comunque essere del tutto avulso dagli atteggiamenti antisemiti. In attesa degli sviluppi delle indagini, intanto, è stata organizzata una veglia di preghiera.
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/parrocchia-gesu-ebreo-devastata-da-vandali
Bologna, gesto antisemita: stella di David disegnata sulla porta di casa del discendente di uno dei deportati
1 Febbraio 2020
Purtroppo siamo qui a dover raccontare ancora un gesto antisemita, questa volta a Bologna. Uno spregevole fatto di cronaca che riguarda il discendente di una famiglia di deportati della Seconda Guerra Mondiale. Sulla porta di casa dell’uomo, che ha perso molti familiari durante la Shoah, è stata disegnata una stella di David con una freccia che indica il campanello dell’appartamento. Una volta accortosi dell’accaduto, l’uomo ha immediatamente sporto denuncia alle forze dell’ordine contro ignoti. A quanto pare non è il primo caso di insulto alla memoria subita dal signore, residente nel capoluogo emiliano. Un escalation di accadimenti che ci riportano indietro nel tempo, dagli insulti alla senatrice Segre, ai gesti di Torino nel giorno della Memoria. Un preoccupante abbrutimento sociale figlio dei nostri tempi.
La vittima ha raccontato al tg regionale dell’Emilia Romagna: “Quando sono uscito ieri mattina verso le 10 per andare a prendere il caffè al bar, ho trovato questa spiacevole sorpresa sul muro. La stella di David, simbolo ebraico, disegnata proprio vicino al campanello, con tanto di freccia che lo indicava. Ho vissuto attimi di panico e mi sono chiesto cosa dovevo fare. A dire la verità io sono agnostico, quindi mi sembrava anche strano subire una discriminazione sulla base di una militanza religiosa“.
Dopo aver denunciato l’accaduto ha deciso immediatamente di far cancellare la scritta. Infine un ricordo doloroso: “Durante la Seconda Guerra Mondiale, ho perso per le deportazioni tutta la famiglia di mio padre. Tutto questo mi getta veramente nello sconcerto”.
https://www.inews24.it/2020/02/01/bologna-gesto-antisemita-stella-di-david-disegnata-sulla-porta-di-casa/
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