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Gli anarchici contro il fascismo: 1919 – 1922
by r(a)shomon Sunday, Mar. 27, 2005
“I fascisti sono soldati di ventura arruolati dall’alta borghesia per arrestare la montante marea proletaria, i quali quando si sentirono forti abbastanza s’imposero come fu sempre costume dei mercenari, a coloro stessi che li pagavano ed intendevano adoperarli come semplici e temporanei strumenti…” (E. Malatesta, 1924)
Secondo anche molti storici la prima aggressione armata compiuta da fascisti contro il movimento operaio fu l’assalto alla redazione del quotidiano socialista Avanti! a Milano il 15 aprile 1919. In realtà ciò non è del tutto esatto in quanto la prima azione squadristica venne commessa, poche ore prima, contro una manifestazione anarchica.
Quel giorno infatti era stato proclamato uno sciopero generale cittadino contro la repressione poliziesca; al termine di una manifestazione unitaria di protesta, gli anarchici organizzarono un loro corteo diretto in Piazza Duomo che venne però attaccato da circa 200 fascisti armati di pistole e bombe a mano. L’aggressione costò la vita alla giovane Teresa Galli e il ferimento di molte altre persone. Conquistata la piazza i fascisti galvanizzati si diressero all’Avanti! e qui, oltre a devastare redazione e tipografia, uccisero due militanti socialisti.
Era iniziata una lunga e cruenta guerra civile tra fascisti e sovversivi, tra reazione e rivoluzione, che sarebbe durata sino all’insurrezione antifascista dell’aprile 1945 e a quella Liberazione di cui quest’anno ricorre il 60° anniversario.
A quella guerra civile i militanti anarchici, di ogni tendenza, parteciparono in prima persona.
La loro intransigente opposizione si espresse prima nelle strade e con gli Arditi del Popolo tra il 1919 e il 1922, quindi nella lotta clandestina e cospirativa durante il Ventennio, nell’esilio all’estero, nei luoghi di detenzione e confino, durante la guerra di Spagna, nei campi d’internamento e nei lager, e infine nella lotta partigiana.
In questo primo articolo, ricordiamo l’antifascismo sovversivo che caratterizzò quell’esteso conflitto sociale divampato in tutta Italia, prima che la Marcia su Roma sancisse la nascita del regime di Mussolini.
Fin dal suo sorgere, gli anarchici avevano ben compreso la natura di classe del fascismo.
“Con la guerra – ebbe a scrivere Luigi Fabbri in La controrivoluzione preventiva – s’è fatta una più grande unanimità proletaria contro la classe dirigente, e ciò ha approfondito in modo straordinario il solco tra le classi: l’una vede nell’altra un nemico dichiarato; e specialmente la classe ch’è al potere e vede il suo potere minacciato, perde il lume della ragione”.
Partendo da questa intuizione, l’Unione Anarchica Italiana appoggiò in ogni modo l’organizzazione dell’autodifesa proletaria, nella prospettiva di un “fronte unico” che raccogliesse i lavoratori di ogni tendenza politica disponibili all’azione rivoluzionaria, fuori dai tatticismi delle dirigenze dei loro partiti.
Altissimo fu il prezzo pagato dagli anarchici per il loro impegno contro il fascismo: centinaia di militanti assassinati, secoli di carcere, esilio, persecuzioni e sacrifici di ogni genere. In tale costo va anche compresa la distruzione di centinaia di strutture del movimento libertario quali sedi anarchiche, circoli di studi sociali, redazioni di giornali, tipografie, biblioteche, abitazioni private di militanti, nonché innumerevoli Case del popolo che erano state realizzate anche con il contributo degli anarchici.
Danneggiate e incendiate dagli squadristi e dalle cosiddette forze dell’ordine furono anche numerose Camere del lavoro dell’Unione Sindacale Italiana, a maggioranza libertaria, tra cui quelle di Milano, Brescia, Crema, Mantova, Bologna, Imola, Ferrara, Parma, Modena, Verona, Brescia, Genova, Savona, Sestri Ponente, La Spezia, Firenze, Carrara, Viareggio, Livorno, Pisa, Piombino, Pistoia, Valdarno, Terni, Roma, Minervino Murge, Taranto.
Ed alla violenza delle squadracce in camicia nera, si affiancò costantemente quella delle guardie regie, dei carabinieri e dell’esercito, sempre pronti a seminare il terrore e a stroncare le resistenze popolari, ricorrendo anche alle autoblindo e ai cannoni – come avvenne ad esempio a Torino, Trieste, Firenze, Siena.
“Gli arresti – scriverà Antonio Gramsci – si moltiplicano: le guardie regie danno la caccia ai garofani e alle coccarde; gli arrestati vengono massacrati coi calci dei moschetti, vengono sfregiati, vengono calpestati fino a dover vomitare sangue; le vie e le piazze risuonano di fucilate contro le finestre, contro le porte, contro i gruppi di passanti, imperversano nella città; gruppi di guardie sogghignanti sbucano da ogni cloaca per puntare le baionette contro il petto di ognuno, senza più distinzione di classe, di età, sia il passante un operaio, un ufficiale, un soldato, un prete, una signora, un bambino, tanta è la rabbia e la furia che gli ordini impartiti riescono a suscitare nella coscienza torbida e crepuscolare dei mercenari assoldati per la guerra civile”.
La violenza fascista e poliziesca raggiunse il suo apice nel 1921, con una media approssimata per difetto di 10 morti proletari al giorno; per cercare di dare conto dello scontro in atto, nell’agosto di quell’anno Umanità Nova aprì una rubrica intitolata “La Guerriglia”, in cui venivano elencate le violenze fasciste contro i lavoratori, i conflitti a fuoco, le uccisioni a sangue freddo, le devastazioni.
Sempre in quel tragico 1921, non casualmente, tra alla fine di giugno sorse a Roma la prima organizzazione di difesa antifascista: l’Associazione degli Arditi del Popolo, allo scopo dichiarato di assicurare l’incolumità dei militanti e delle sedi del movimento operaio.
A fondare tale associazione, a tutti gli effetti sovversiva, era stato un consistente gruppo di ex-arditi dei reparti d’assalto, ormai schierati su posizioni di radicale antagonismo verso i fascisti e la borghesia, guidati da Argo Secondari, un reduce di guerra che gli organi di polizia schedarono come anarchico, così come anarchici – soprattutto di tendenza individualista – furono molti tra i primi arditi del popolo.
L’iniziativa fu subito accolta con grande favore ed entusiasmo dai lavoratori di tutte le tendenze di sinistra – sia rivoluzionarie che riformiste – ed in breve tempo negli Arditi del Popolo confluirono migliaia di antifascisti, ma anche numerose esperienze locali di autodifesa proletaria quali le superstiti Guardie Rosse dell’Occupazione delle fabbriche, gli Arditi Rossi, i Lupi Rossi, i Figli di Nessuno, i Gruppi rivoluzionari d’azione, le Centurie proletarie.
L’appoggio anarchico verso questa nuova aggregazione fu incondizionato e, soprattutto, non conobbe dissociazioni come invece avvenne in seguito per i partiti socialista, comunista e repubblicano che, seppure con diversi gradi di responsabilità, affossarono la più significativa esperienza di lotta, anche armata, contro il fascismo prima che questo l’avesse vinta.
La potenzialità di tale organizzazione di autodifesa proletaria fu dimostrata dalle sconfitte e dalle dure resistenze incontrate dagli squadristi e dalla sbirraglia al loro seguito nelle città e nei quartieri dove gli Arditi del Popolo avevano predisposto le necessarie contromisure, preparando allo scontro gruppi di lavoratori, costruendo barricate-trincee, stabilendo collegamenti tra le diverse zone, rispondendo colpo su colpo alle incursioni antipopolari.
L’11 luglio 1921, a Viterbo, una rivolta capeggiata dagli Arditi del Popolo respinge i fascisti; il 17 luglio, a Livorno, centinaia Arditi del Popolo e anarchici affrontano con successo fascisti forniti di camion blindati e fucili; il 21 luglio, a Sarzana, una grossa spedizione punitiva viene respinta da Arditi del Popolo, anarchici e antifascisti (restano uccisi 18 squadristi e altri quaranta feriti); l’11 settembre, a Ravenna, Arditi del Popolo, anarchici e sovversivi respingono circa tremila fascisti; tra il 9 e il 13 novembre, a Roma, sciopero generale, barricate e scontri per il congresso nazionale fascista; Arditi del Popolo, anarchici e sovversivi rendono vani gli assalti contro i quartieri popolari.
La serie delle battaglie continuò, con alterne vicende, anche nel 1922: il 24 aprile, a Piombino, Arditi del Popolo e anarchici respingono una colonna fascista; il 24 maggio, a Roma, i fascisti vengono nuovamente costretti alla ritirata dai proletari e dai sovversivi del quartiere S. Lorenzo. Il 1° agosto, a Parma, inizia l’assedio fascista per stroncare lo sciopero generale indetto a livello nazionale dall’Alleanza del Lavoro; i borghi popolari sono difesi dalle barricate. Gli anarchici difendono con le armi Borgo Naviglio. La resistenza proletaria, coordinata dagli Arditi del Popolo, dura sei giorni sino alla ritirata fascista. A Bari, durante lo sciopero generale, gli Arditi del Popolo e gli antifascisti asserragliati nella Bari Vecchia, resistono per cinque giorni agli assalti fascisti e delle forze dell’ordine. A Genova, gli antifascisti, gli anarchici e gli Arditi del Popolo si oppongono per tre giorni agli attacchi fascisti, poi la forza pubblica interviene con autoblindo e mitragliatrici demolendo le barricate e aprendo la strada alle distruzioni fasciste. A Livorno, barricate e scontri tra fascisti e sovversivi durante lo sciopero generale, finché la forza pubblica e reparti militari con autoblindo permettono la conquista della città da parte dei fascisti, 10 le vittime tra gli antifascisti. Ad Ancona, gravissimi conflitti a fuoco vedono Arditi del Popolo, anarchici, repubblicani, socialisti, comunisti e legionari fiumani uniti contro l’offensiva fascista; la resistenza viene vinta da ingenti forze dei carabinieri e dell’esercito con mezzi blindati. A Civitavecchia, invece, Arditi del Popolo, portuali, anarchici e sovversivi respingono, per la seconda volta, ingenti forze fasciste.
Ormai però, i rapporti di forza diventavano sempre più sbilanciati dalla parte fascista, forte per l’appoggio dello Stato; ma anche in occasione della Marcia su Roma, alla fine dell’ottobre 1922, l’invasione fascista si dovette arrestare davanti ai quartieri proletari difesi dagli Arditi del popolo, dalle Squadre comuniste e dagli Arditi Anarchici.
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