pubblicato il 14.02.18
Trasformisti, fascisti, impresentabili e ras delle clientele: ecco le liste al Sud di Matteo Salvini ·
La rete del consenso nel meridione si fonda su figure spesso note e di lungo corso. Con non poche ombre. Ecco regione per regione i casi più interessanti
13 febbraio 2018
«Se hanno preferito gli uomini di Lombardo e Cuffaro lasciando fuori noi mi hanno fatto un favore...». Così parlò Matteo Salvini, detto il Capitano, all’indomani della presentazione del governo siciliano di Nello Musumeci. Il neo governatore ha lasciato ai margini della giunta il deputato di Salvini. Il leader della Lega si aspettava quantomeno un assessorato per celebrare il risultato storico ottenuto in Sicilia che ha consacrato la vocazione nazionale del partito di Salvini.
Tuttavia, il capo del Carroccio - nella sua stizzita analisi - omette di rivelare il profilo del primo leghista della storia a palazzo dei Normanni: è un riciclato e per di più indagato per appropriazione indebita. Si chiama Tony Rizzotto, 65 anni, chioma folta e improbabile, fan di Mimmo Cavallaro autore della hit anni ‘80 “Siamo meridionali” e dipendente pubblico del comune. Si è fatto le ossa con l’ex governatore Totò Cuffaro condannato per favoreggiamento alla mafia. Il salto di qualità, però, avviene da deputato all’Ars col Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo, il successore di Cuffaro anch’egli finito nei guai ma per voto di scambio.
Il Carroccio nazional-popolare è una salsa fatta in casa, come nelle migliori tradizioni meridionali, mistura di democristiani, estrema destra e figure equivoche. Fascioleghismocrociato, una truppa organizzata da Matteo Salvini per conquistare un pezzo d’Italia che fino a ieri era a lui pressocché sconosciuto. Da Andreotti ad Almirante, ipotetico pantheon ideale.
Il regista del casting della classe dirigente della Lega del Sud è Raffaele Volpi, scelto da Salvini. La selezioni sembra aver seguito tre rigide regole: godere di uno spiccato carisma clientelare, possedere uno spirito politico camaleontico, essere il referente di un blocco elettorale tramandato di padre in figlio, a prescindere dalla sigla del partito.
Quel palazzo nel centro di Roma
Un palazzo signorile al centro di Roma. In uno dei quartieri dell’upper class della Capitale. In via Federico Cesi, a due passi dal Lungotevere, c’è l’incarnazione dello sposalizio tra democristiani e leghisti. Qui al secondo piano si trova la sede ufficiale di “Noi con Salvini”. Almeno questo dicono gli atti ufficiali.
«In realtà da quattro mesi, si sono traferiti per le regionali siciliane», precisa il portiere dello stabile. Una sede fantasma, quindi? Un documento svela l’arcano. Gli appartamenti al secondo piano sono divisi tra la famiglia Attaguile. E la sezione si trova proprio in quello di proprietà di Angelo Attaguile.
Segretario nazionale di Noi con Salvini, coordinatore del movimento in Sicilia, e candidato al Senato con la Lega, Attaguile è stato esponente di punta della Dc, poi del Movimento per l’autonomia di Raffele Lombardo, presidente dell’istituto case popolari e del Catania calcio, assolto dalla corte d’appello di Messina per una tentata concussione.
Con Lombardo sono compaesani, entrambi del paesone di Grammichele, feudo elettorale del primo e ancor prima del padre di Angelo Attaguile, Gioacchino, che dell’ex governatore è stato padrino politico. Eh sì, l’esponente della Lega di Sicilia si porta dietro una gloriosa eredità politica: il babbo è stato tre volte senatore Dc, sottosegretario alle Finanze nei governi Rumor e Colombo, infine ministro della Marina Mercantile. Angelo ha dato il massimo per non tradire la storia politica di famiglia. Da ragazzo è stato presidente dei giovani democristiani, nel 2005 Giuseppe Pizza lo nomina suo vice nella nuova Dc. Poi milita con gli autonomisti e nel 2013 viene eletto alla Camera grazie a un posto sicuro in quota Lombardo nelle fila del Pdl, due settimane dopo migra nel gruppo Lega Nord-Autonomie.
Un sostegno indispensabile che ha permesso all’ aggregazione paralamentare di avere il numero necessario per sopravvivere. Lunga vita ad Attaguile, dunque, che due anni dopo verrà incoronato segretario nazionale di Noi con Salvini, embrione del Carroccio nazionale. Il movimento entra così all’interno di Montecitorio e alla sigla Lega Nord-Autonomie si aggiunge Noi con Salvini, che da allora ha iniziato a usufruire della quota dei rimborsi ai gruppi: quasi 1,8 milioni negli ultimi due anni, a cui si è aggiunto un contributo liberale di 500mila euro dal gruppo Lega Nord Padania, in auge nella legislatura precedente dei governi Berlusconi e Monti.
Che sia questione anche di affari la liason con gli autonomisti siciliani è evidente dal sostegno economico ricevuto da questi ultimi negli anni passati: circa un 1,4 milioni fino al 2010. Sebbene Attaguile sia un recente acquisto di Salvini, con i leghisti c’è sempre stata un’intesa. Lo scopriamo tornando in via Cesi. Tra il ‘93 e il ‘99 la proprietà dello stesso appartamento era suddivisa tra Attaguile e Michele Baldassi di Udine, leghista, manager in aziende pubbliche in quota Carroccio e sposato con Federica Seganti, pezzo grosso del partito friulano, ex assessora regionale, alla cui campagna elettorale è cresciuto un giovanissimo Massimiliano Fedriga, astro nascente della Lega versione Salvini. Un leghista e un democristiano a Roma. Negli anni in cui si raccoglievano le macerie della prima Repubblica, con il partito di Bossi che si scagliava contro le clientele della Dc e i tangentari di Mani pulite, per non parlare dei meridionali. Tuttavia Baldassi per pochi mesi nel periodo di comproprietà ha ottenuto anche un incarico nell’Ast, la società del trasporto pubblico della Regione Sicilia. Uscito Baldassi dalla proprietà, mai Attaguile avrebbe immaginato che 16 anni più tardi in quel di via Cesi avrebbe riabbracciato altri leghisti.
Il Drago e Il Padano
Attaguile non è il solo, con un papà potente Dc, a salire sul Carroccio di Salvini. Filippo Drago sindaco di Aci Castello l’ha seguito. Udc, Noi Sud, Pdl, Mpa, e infine candidato numero due per la Lega in uno dei collegi plurinominale del Catanese. Suo padre, Nino Drago è stato otto volte sottosegretario oltreché sindaco di Catania. Un fuoriclasse del consenso, andreottiano, all’epoca di Salvo Lima. Uscito indenne da un’inchiesta. Come il suo erede, Filippo, assolto per la voragine di bilancio lasciata nelle casse del comune di Catania dalla giunta Scapagnini. «Nun semu tutti i stissi». Non siamo tutti gli stessi, slogan che nel 2008 ha reso celebre il rampollo di Nino.
Nel club dei Salvini boys della Trinacria si è iscritto anche Alessandro Pagano da San Cataldo, provincia di Caltanissetta. Berlusconiano della prima ora, assiduo pellegrino a Medjugori, fedele ultratradizionalista della congrega Alleanza cattolica. Il primo incarico di rilievo è del ‘96, assessore alla Sanità nel governo regionale del chiacchierato Giuseppe Provenzano. Quattro anni più tardi si alternerà tra Finanza e Beni Culturali nella prima giunta Cuffaro. Nel 2013 da deputato Pdl transita con Angelino Alfano nel Nuovo centro destra, da cui divorzia per giurare amore eterno alla Lega-Noi con Salvini. E da quel momento per i nisseni Pagano diventa “Il Padano”. Lo ha seguito il cugino, dipendente del centro di accoglienza per migranti. Chi è rimasto fuori, ma lo sosterrà, sono il cognato, Raimondo Torregrossa, in passato sindaco di San Cataldo, e la cognata Angela Maria Torregrossa, amministratrice della rinomata clinica Regina Pacis, convenzionata con la Regione. Torregrossa fa il suo ingresso nella struttura sanitaria di San Cataldo nel periodo in cui Pagano guidava la Sanità. Il cognato, invece, è stato primo cittadino di San Cataldo quando lui era deputato all’assemblea regionale. Poi, quando Pagano va Montecitorio, Torregrossa va a palazzo dei Normanni. I maligni hanno definito questa alternanza sancataldese “Operazione Montante”, perché voluta da Antonello Montante, l’imprenditore, cavaliere del lavoro, fino a un anno fa capo degli industriali sicialiani e sotto indagine per concorso esterno in associazione mafiosa. Montante come Pagano è di San Cataldo, fino al 2009 i rapporti erano ottimi. Poi tra i due è sceso il gelo.
Ombre nere sullo Stretto
Superato lo Stretto, da Reggio Calabria in su, i Salvini boys non hanno nulla a che spartire con la tradizione democristiana. Qui prevale il nero degli eredi politici del Movimento sociale. Giuseppe Scopelliti, per esempio, sosterrà Salvini con il suo nuovo Movimento nazionale per la sovranità fondato insieme a Gianni Alemanno, sotto processo per finanziamento illecito in un filone scaturito da Mafia Capitale. Scopelliti non si candiderà, per non creare imbarazzo al Capitano. Ha una condanna in appello a cinque anni per abuso e falso per la vicenda del dissesto milionario del municipio che governava. E poi è in attesa di capire l’evoluzione di un’inchiesta dell’antimafia sul livelo occulto della ‘ndrangheta, in cui è indagato. Ma l’ex governatore e già sindaco di Reggio lavorerà dietro le quinte, metterà, cioè, a disposizione il suo blocco elettorale mobile che fa gola a molti. A Salvini quei voti sicuri fanno comodo. Dal canto suo Scopelliti non rinuncia certo a piazzare sue pedine nelle liste. Una su tutte: Tilde Minasi, fedelissima fin dalla prima giunta comunale.
Dalla destra sociale proviene anche il segretario sezione calabrese della Lega-Noi con Salvini. Si chiama Domenico Furgiuele, un passato nella Destra di Storace, e, ora, candidato alla Camera. Di mestiere fa il geometra, a tempo perso lavora nella tv locale di famiglia. Le sue passioni, il calcio e la storia. Quando era un ultras del Sambiase ha collezionato un Daspo, che la Questura affibbia solo ai tifosi più agitati. Sulla storia recente ha le sue idee. Ritiene, per esempio, il neofascista Stefano Delle Chiaie, fondatore della fuorilegge Avanguardia nazionale, «più una vittima che un carnefice». E su questo sarà in sintonia con Scopelliti, visto che Delle Chiaie - un legame fraterno con la frangia più torbida della Calabria - è stato protagonista del fronte nero nei moti di Reggio negli anni Settanta.
Una delle prime apparizioni di Matteo Salvini in Calabria è del 2015, quando insieme a Furgiuele hanno organizzato una conferenza stampa all’Aerhotel Phelipe, di proprietà della famiglia dell’imprenditore Salvatore Mazzei, suocero di Furgiuele. Il parente del candidato di Salvini a Lamezia ha i beni sotto sequestro dall’antimafia. Lui rigetta ogni accusa, sostiene di essere una vittima, forte anche di un assoluzione da un processo per concorso esterno. Di certo, però, Mazzei è sfortunato nella scelta dei partner: un suo vecchio socio, imprenditore delle sale bingo, è stato pizzicato di recente dalla guardia di finanza di Lamezia per una presunta bancarotta fraudolenta. Dettagli per Furgiuele, fiero di aver portato la Calabria a Pontida, incluso il gazebo con l’insegna della regione. Così tra un “Va, pensiero”, vichinghi in delirio e mutande verdi, ha ormai quasi cancellato dalla memoria quel passaggio di un informativa della polizia in cui viene tirato in ballo per aver offerto alle persone sbagliate due stanze dell’hotel di famiglia, lo stesso in cui Salvini è stato ospite tre anni fa. I detective che indagavano su un caso di omicidio del 2012, infatti, scoprono che i sicari dopo la spedizione hanno alloggiato nel quattro stelle senza pagare alcunché. «Erano ospiti del signor Domenico Furgiuele, genero del signor Mazzei, proprietario dell’Hotel», si legge nel documento. L’episodio non ha avuto alcun rilievo penale, Furgiuele non poteva immaginare che quelli fossero gli autori del grave delitto. Si era fidato di un amico, a sua insaputa coinvolto con quella gentaglia. Una storiaccia, insomma, da dimenticare. Furgiuele, ora, è concentrato sulla campagna elettorale. Nella sede leghista di Lamezia campeggia un celebre motto di Codreanu: «Per noi non esiste sconfitta o capitolazione..». Il fascista rumeno, per i camerati d’Europa semplicemente “Il Capitano”.
Lo chiamavano ‘o Criminale
Tra Napoli e Caserta nessuna nostalgia del passato. Si vive alla giornata, elezione dopo elezione. E qui il Capitano Salvini ha ben altri pensieri. Primo fra tutti l’ingombrante presenza di Vincenzo Nespoli nella composizione delle liste della Lega in Campania. Nespoli è stato tre volte deputato, sindaco della sua città, Afragola, e condananto in secondo grado a cinque anni per bancarotta fraudolenta. Seppur nell’ombra, come Scopelliti in Calabria, anche lui offre la merce migliore che ha disposizione, i voti. Sporchi, volendo dar credito a un pentito di camorra nuovo di zecca: «È amico intimo della famiglia Moccia... quando è stato al potere al Comune, là erano tutti schiavi... è un SS, lo chiamano o’ Criminale». Nespoli, quindi, meglio che resti dietro le quinte, in attesa. Palco libero per la front woman di Salvini in Campania, Pina Castiello, anche lei di Afragola e legata a Nespoli da militanza comune e da solida amicizia. Inizia in Alleanza nazionale, poi passa al Pdl, casa politica in cui ha stretto un solido rapporto sia con Nicola Cosentino che con la famiglia Cesaro, due saghe politiche inquinate dai clan.
Ma di Afragola è anche un altro candidato pro Salvini. Ciro Salzano, imprenditore, patron dell’ Aias, l’associazione per la cura dei disabili. Non c’è che dire, tornata elettorale fortunata per Afragola. Con l’Aias del neoleghista Salzano ha collaborato il medico no vax radicale Massimo Montinari, sospeso per sei mesi dall’Ordine dei Medici. Non è nota la posizione di Salzano sui vaccini, mentre quella di Salvini sì: «Con noi al governo via l’obbligo». Chissà, magari è stata questa la molla che ha spinto Salzano a correre con il Capitano.
Salvini alle pendici del Vesuvio
Alla fine, quindi, quel “Napoli colera”, urlato a squarciagola, era solo una goliardata da tifoso. Il presente è un selfie con il fuoriclasse azzurro Lorenzo Insigne. Insomma, i tempi sono ormai maturi per issare lo stemma di Alberto da Giussano nella capitale del Regno delle due Sicilie. Il segretario regionale campano è Gianluca Cantalamessa. Napoletano e candidato alla Camera nel collegio uninominale Campania 11. Le simulazioni danno la sua elezione pressoché certa. La Lega è stata per lui un approdo, ma casa sua resta la destra sociale. E finchè suo padre era ancora in vita guai a parlare di autonomia e secessione. Antonio, il papà, era un nostalgico del Duce, della patria indivisibile.
Antonio Cantalamessa, infatti, è stato tra i più importanti esponenti dell’Msi. Il figlio l’ha seguito come meglio ha potuto, per esempio organizzando incontri nel ricordo di Almirante. Il giorno del funerale del papà dichiarò: «Grazie a mio padre ho capito cosa significa essere un uomo, che cos’è la destra, che cosa sono i valori». Su questo nessun dubbio. Il 28 aprile 2003 Cantalamessa senior aveva partecipato a una messa in onore di Mussolini e dei caduti della repubblica sociale italiana. Cinque anni più tardi viene nominato presidente di Equitalia Polis, l’ agenzia di riscossione che il capo del Carroccio promette di abolire. Il figlio si è limitato a fare l’imprenditore, in ambito assicurativo e immobiliare. In passato anche nel settore farmaceutico. Socio, per esempio, fino al 2004 della New.Fa.Dem di Giugliano.
Ai tempi in cui Cantalamessa era azionista, tra i consiglieri c’era Valerio Scoppa. Famiglia importante la sua, papà radiologo di fama, zio generale dei carabinieri in pensione legato alla curia, il fratello sposato con la figlia del boss Angelo Nuvoletta, morto nel 2013, mentre stava scontando l’ergasotlo per l’omicidio del cronista del Mattino Giancarlo Siani. Storie passate. Oggi Cantalamessa è un Salvini Boy, impegnato a contrastare l’invasione straniera.
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2018/02/13/news/matteo-salvini-liste-sud-1.318230?ref=RHRR-BE
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