pubblicato il 23.11.21
Cgil, il caso dei due delegati che postavano sui social foto e inni fascisti: le denunce interne al Comitato di garanzia sono state archiviate ·
Saluti romani, tatuaggi con croci celtiche, hashtag che inneggiano al duce, solidarietà a Casapound: da Roma a Verona due denunce interne contro simpatizzanti del neofascismo e dei suoi simboli obbligano il sindacato a fare i conti con il rischio di infiltrazioni interne. Il Comitato di garanzia nazionale per ora come unico provvedimento ha invitato i suoi iscritti a fare maggiore attenzione e i dirigenti a formare le reclute
23 Novembre 2021
Fine febbraio del 2020: su Roma incombe lo spettro della pandemia che nel mese successivo si trasformerà nel primo e durissimo lockdown per tutto il Paese. Negli aeroporti le compagnie fanno i conti con la raffica di cancellazioni delle prenotazioni. Nella Capitale, nel trambusto che precede il silenzio che durerà mesi, con i dipendenti a casa e i voli che né decollano né atterranno, un delegato Rsa della Filt Cgil scrive alla commissione di garanzia della Cgil e alla Filt Cgil Trasporto aereo, sia locale che nazionale, per chiedere “la compatibilità di un mio omologo, a sua volta Rsa Filt Cgil, con gli articoli 1 e 3 dello statuto nazionale della Cgil”, come scritto in uno dei documenti che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare in esclusiva.
I due articoli dello Statuto del sindacato, a cui si riferisce il delegato, sanciscono, tra le altre cose, che “la Confederazione generale italiana del lavoro” ripudia “fascismo e razzismo” e che “contrasta con ogni mezzo le associazioni mafiose, terroristiche e criminali”. Inoltre, l’iscrizione al sindacato viene respinta, da Statuto, “previo parere favorevole del centro regolatore competente” in caso di “attività, o appartenenza, o sostegno diretto o indiretto, ad associazioni con finalità incompatibili con il presente Statuto” tra cui “organizzazioni a carattere fascista o razzista” e “criminali”.
Il caso che il denunciante solleva riguarda le attività in cui il collega, sui social network, e in particolare su Instagram, mostra più volte di apprezzare – divulgandoli anche – simboli e modelli fascisti. Il delegato sindacale che ha segnalato la storia ai vertici nazionali produce un dettagliato elenco, documentato da foto provenienti dal web e liberamente accessibili a chiunque, fino a quando non verranno rimosse. Si va dalle “pezze da stadio che ricalcano il logo della Flottiglia X Mas del fascista Junio Valerio Borghese” alla “richiesta di libertà per Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik”, uno dei capi degli ultrà della Lazio, Gli Irriducibili, ritenuto vicino a organizzazioni neofasciste come Forza Nuova, interessato da diversi problemi con la giustizia e ucciso con un colpo di pistola il 7 agosto del 2019 al parco degli Acquedotti a sud di Roma. Tra gli hashtag del post si legge: #duce.
Ancora, il denunciante contesta “la pubblicazione di vessilli che raffigurano saluti romani” e “una certa, frequente, tendenza a farsi fotografare in pose di saluto” e “un saluto a tre dita che, escludendo la pista vulcaniana, lascia aperti altri scenari, potenzialmente coerenti con i punti citati precedentemente”. Ma c’è anche la foto di un tatuaggio “raffigurante una cosiddetta cinghiamattanza, in cui un ultrà incappucciato agita una cintura, sulla cui fibbia è rappresentata una croce celtica, simbolo dei movimenti neofascisti europei” e un testo che modifica l’inno fascista Il domani appartiene a noi nel passaggio in cui recita la terra dei padri, la fede immortal che diventa la squadra dei padri, la fede immortal. Il fascicolo – corredato di foto – viene spedito via pec il 25 febbraio 2020 all’indirizzo dei vertici locali e nazionali della Cgil e Filt Cgil.
Il 5 ottobre successivo il Comitato di garanzia interregionale centro della Cgil si esprime e rileva che l’iscritto contestato “dichiara di non essere mai stato fascista e di aver frequentato da bambino la Curva nord dello Stadio Olimpico (tifoseria della Lazio) e di aver utilizzato slogan senza comprenderne il valore politico, anche perché non ha mai svolto attività politica all’infuori di quella sindacale” e che il denunciante “non si presenta, pur dichiarandosi disponibile” in sede di “tentativo di ricomposizione”. Inoltre, l’organo locale di garanzia del sindacato riferisce che sono state fatte indagini “tra alcuni iscritti” che “hanno negato di conoscere qualcuno con simili tatuaggi” e che all’organizzazione sindacale di categoria, la Filt Cgil di Roma, “mai erano giunte voci, precedentemente alla segnalazione” “di una fede fascista” dell’iscritto-tifoso.
Caso chiuso, nei confini del Lazio, con “proscioglimento ai sensi dell’art. 27 dello Statuto della Cgil”. La relazione del comitato, tuttavia, considera che “la tifoseria laziale”, come altre, è “chiaramente riconducibile alla destra politica e ne utilizza i simboli” ma dice anche: “Non possiamo ritenere che i tifosi, pur assidui, di per sé sostengano o promuovano l’ideologia fascista” e quindi “non si ravvisano violazioni statutarie”. Tra l’altro lo stesso organo di garanzia certifica di aver verificato che l’iscritto laziale non ha alcun tatuaggio sul polpaccio. Resta però l’uso dell’immagine dello stesso, a chiunque appartenga, sul web. Così il comitato pur non prendendo provvedimenti invita “in un’epoca dall’uso così smodato dei social, i delegati della Cgil” a tenere la “massima attenzione su quanto pubblicano, per evitare segnali contrastanti con i valori della Cgil”.
Nel frattempo ha rimosso ogni foto e limitato al massimo l’accessibilità ai suoi social network. Così sul web, di lui e delle sue simpatie fasciste, non si trova più nulla quando, mesi dopo, il fascicolo arriva sul tavolo del Comitato di garanzia nazionale. Ci arriva perché Eliana Como, della Fiom nazionale, portavoce di un’area di minoranza del sindacato (Riconquistiamo Tutto) ma anche membro del direttivo nazionale Cgil, nel corso di una seduta racconta la vicenda davanti al segretario Maurizio Landini. “Ho aspettato a lungo a sollevare questa questione al direttivo, ma dopo un anno di rinvii la pongo alla vostra attenzione” perché “andava risolta a febbraio dell’anno scorso con l’articolo 3 del nostro Statuto e senza nemmeno ricorso”, afferma Como, come emerge da una videoripresa interna dell’incontro condivisa nelle chat dei lavoratori aeroportuali romani.
La sindacalista illustra la questione, ricorda che l’iscritto proviene da un altro sindacato e che “l’antifascismo ci riguarda tutti e ci riguarda anche quando, al limite, può essere che il rispetto dell’antifascismo ci faccia perdere qualche iscritto perché magari qualcuno se ne torna in sindacati che hanno una identità antifascista meno rigorosa della nostra”. Il timore, non celato, di Como è che la procedura possa esser stata archiviata per non perdere gli iscritti che fanno capo al delegato chiamato in causa. Ogni delegato nei sindacati, difatti, è portatore di un certo numero di “tessere”, ovvero di nominativi che affidandosi alla sua rappresentanza militano in una o nell’altra organizzazione.
Tornando a Roma: “Se è stato archiviato il caso, però, io non lo so – sottolinea Como nel video – perché il compagno che ha fatto denuncia ancora non ha ricevuto risposta”. E qualche giorno dopo, il 24 marzo di quest’anno, il delegato che aveva segnalato il caso riceve dal Comitato di garanzia interregionale una lettera in cui gli viene comunicato che c’è stato “un errore nella trascrizione del suo indirizzo email”. È credibile che allo stesso modo si sia smarrito l’invito al “tentativo di ricomposizione” organizzato dai vertici della Filt locale. In ogni caso il denunciante presenta ricorso al Comitato nazionale che il 23 giugno scorso lo respinge perché “non ha riscontrato la presenza di fatti nuovi” rispetto a quelli già certificati dall’organo locale. Tuttavia una preoccupazione il Comitato di garanzia nazionale la esprime, infatti “richiama i Centri regolatori a tutti i livelli affinché siano poste in essere tutte le misure necessarie, soprattutto nei confronti dei nuovi giovani quadri, per trasmettere e valorizzare i riferimenti storici e valoriali che contraddistinguono la Cgil”.
Interpellato relativamente all’attivazione di queste misure, il presidente del Comitato di garanzia nazionale, Claudio Treves, ne conferma la necessità e chiarisce che “riguarda l’organizzazione nel suo complesso”. Relativamente alla vicenda romana, Treves ricorda che “all’organizzazione ci si iscrive liberamente e si rimane iscritti se si adempie alle regole che lo Statuto e il codice etico impongono” e nel caso trattato “è emerso un esplicito ripudio, da parte della persona, di qualunque adesione al fascismo e alla sua ideologia”. “Rimane il problema – precisa Treves –, ma è un problema generale del Paese, di fare luce sulle infiltrazioni nelle curve degli stadi: di questo stiamo parlando. Le immagini segnalate riguardavano una tifoseria calcistica in particolare di cui questo lavoratore, iscritto, faceva parte. Su questo la Cgil non ha alcun potere nel sindacare comportamenti che rientrino all’interno del tifo calcistico. Si possono avere tutte le opinioni di questo mondo ma non c’è scritto nello Statuto, che è quello a cui noi dobbiamo attenerci, che non si possono frequentare le curve degli stadi: c’è un problema culturale a monte, sul quale sicuramente anche l’organizzazione deve fare di più”.
Archiviato il caso nella Capitale, neanche un mese dopo, se ne apre un altro, molto simile, a Verona. Il 22 luglio 2021, sempre Eliana Como della Fiom, scrive al Collegio statutario nazionale della Cgil perché è venuta “a conoscenza che un iscritto alla Fiom Cgil di Verona”, “componente della relativa assemblea generale”, ha “posizioni apertamente fasciste”. Anche in questo caso la documentazione fotografica allegata parla chiaro. In un post su Facebook si legge: “Roma è una discarica piena di ladri, rom, immigrati, e merda varia, ma il problema per i 5stelle è il palazzo di Casapound. Che schifo!”. È il 4 giugno 2020, sono i giorni in cui l’allora sindaca del M5s Virginia Raggi insiste sulla necessità di sgomberare il palazzo occupato all’Esquilino. Il 21 luglio successivo l’iscritto della Fiom pubblica un altro post e cambia obiettivo, insultando la fidanzata e scambiandosi espressioni grevi sulle donne con altri utenti. E ancora, tra gli altri, c’è un post in cui fa l’in bocca al lupo a due persone della Destra Sociale per Flavio Tosi.
La risposta alla richiesta di Como arriva il 12 agosto successivo: il Csn si dichiara non competente e archivia. “Il Csn – si legge nel documento – privo di competenze riguardo al caso esaminato, rilevando tuttavia che lo stesso sia di rilievo per le strutture interessate, nel deliberare l’archiviazione decide di inviare questa lettera ai centri regolatori interessati”. Poi il silenzio. Anche Como, scoraggiata, non insiste, convinta di un esito simile a quello dell’omologa vicenda romana. La sindacalista, tra l’altro, aveva iniziato la battaglia quando un iscritto, di origini africane, le aveva riferito di aver ricevuto pesanti insulti razzisti da parte dello stesso iscritto veronese. Prima che la procedura interna alla Cgil si concludesse, però, il giovane straniero, sentitosi non gradito, aveva già lasciato il sindacato e si era iscritto a un’altra organizzazione. Il “segnalato”, come nel primo caso, aveva rimosso ogni foto equivoca dai social network.
Mesi dopo, il tema del contrasto alle organizzazioni neofasciste in Italia diventa caso nazionale, e finisce in Parlamento – ironia della sorte – proprio a seguito dell’assalto di Forza Nuova contro la sede nazionale della Cgil a Roma. “I fatti oggetto delle delibere sono antecedenti e del tutto scollegati dall’aggressione di un mese fa, non c’è nessun collegamento da poter fare”, conclude Treves.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/23/cgil-il-caso-dei-due-delegati-che-postavano-sui-social-foto-e-inni-fascisti-le-denunce-interne-al-comitato-di-garanzia-sono-state-archiviate/6394662/
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